Storia di Delia

Delia viene al mondo nell’estate del 2002, con taglio cesareo, 15 giorni prima del previsto. E’ bella,paffuta. Ha gli occhi grandi, scuri, dalla forma allungata…prende volentieri il latte materno, fa dei lunghi sonnellini tra una poppata e l’altra ed è tranquilla…è una bambina sana, senza nessun problema particolare. 
Un po’ di ittero ed un conflitto di gruppo sanguigno mi costringe ad allungare la permanenza nel reparto maternità della clinica ancora qualche giorno. Poi, via, finalmente, a casetta nostra, tutti insieme: lei, io e il suo papà; felicissimi per l’arrivo di questa piccolina tanto desiderata, nata tre anni dopo un bel maschietto altrettanto bello, sano e forte. 
E’ un po’più insofferente e capricciosa, rispetto al fratellino. Noto che prova disagio a stare in ambienti illuminati con un particolare tipo di luci. Non immagino che tali comportamenti possano essere spia di un qualcosa di grave, di serio. Sembra tutto abbastanza normale. Fino al compimento del sesto mese di vita.
E’ notte. La bimba, che riposa nella carrozzina, inizia a gemere e a respirare in modo strano. La prendo in braccio : non regge il capo,gli arti ciondolano…sembra una bambolina di pezza. La porto in bagno e la osservo stesa sul fasciatoio:ha lo sguardo perso nel vuoto, scossettine nelle spalle, bava…Le misuro la febbre: appena sopra i 37°. La svesto per farle prendere aria: si rianima, riprende colore e tono muscolare…e inizia a piangere….un pianto lungo, inconsolabile, che va avanti tutta la notte… 
Si riaddormenta stremata il mattino dopo. Adesso la febbre è più alta; perciò chiamo il pediatra per chiedergli di passare a visitarla . Intanto, la lascio alle cure di una persona fidata e vado a lavorare. Torno per pranzo e mi viene riferito che, poco prima dell’arrivo del pediatra, la bimba ha avuto un episodio simile a quello della notte, di breve durata. Rivado al lavoro di pomeriggio e rientro la sera. La trovo nella sua seggiolina, abbattuta…la prendo per allattarla, ma non riesco a farla attaccare al seno: ha il labbro inferiore risucchiato verso l’interno, è livida intorno alla boccuccia , sulle dita…ha gli occhietti ruotati all’indietro, le spalle scosse da sussulti e contrae ritmicamente un braccino ed un piede…è tutto come la notte precedente…solo che non le passa, sembra interminabile…
Allerto mio marito e i miei genitori. Richiamo il pediatra, inutilmente. Decidiamo di richiedere l’intervento degli operatori del 118, che arrivano e le fanno qualcosa. Intanto io , stranita, spinta da più parti, preparo un piccolo bagaglio e mi accingo a seguirla in ambulanza.
Passiamo da un ospedale vicino ad un altro. La ricoveriamo. Nelle ore successive ha altre crisi. Viene sottoposta ad ogni tipo di esame. Trascorriamo una settimana allucinante. Poi viene dimessa con una diagnosi provvisoria di convulsioni febbrili; ma è necessario riportarla in quella struttura per ulteriori accertamenti, quindici giorni più tardi. Lo facciamo, ci fanno ripetere l’eeg, notano qualcosa che non quadra e vogliono che prenotiamo una visita con il loro neurologo…che però non riesce a trovare uno spazio per noi…così, dietro suggerimento di un altro medico di fiducia, ci rechiamo al Policlinico di Siena. Si ripetono gli esami, si studiano le carte del primo ricovero, si fanno un mucchio di domande sulla nostra storia familiare e alla fine vien fuori una diagnosi di epilessia. Incassiamo male il colpo, ma i medici rassicurano: queste forme infantili in genere sono lievi e regrediscono nel tempo.Ci congedano dopo aver prescritto il trattamento con il depakin e ci rimandano a casa. 
Iniziamo la terapia non senza ansie e perplessità . Segue un periodo di calma relativa. Ma i problemi non sono finiti. Le tappe dell’acquisizione del movimento e del linguaggio risultano rallentate. La bimba non interagisce con le figure familiari. Sembra incapace di fissare a lungo la sua attenzione su un gioco, indifferente alle stimolazioni che le vengono sottoposte. Ne parliamo agli specialisti durante il secondo controllo che effettuiamo a Siena sei mesi dopo, e ci viene chiesto di ripresentarci più in là per ricoverarla lì ,allo scopo di osservare direttamente quanto da noi rilevato ed eseguire nuovi esami più approfonditi. 
Siamo avviliti. Non possiamo ogni volta affrontare un viaggio tanto lungo per risolvere le difficoltà riscontrate in corso di terapia. Il pediatra di base ci viene in aiuto, segnalandoci l’apertura di un nuovo reparto di neuropediatria presso l’ospedale di una provincia vicina. Qui prestano servizio alcuni dottori, formatisi proprio a Siena. Chiamiamo subito, ed è in questo modo che conosciamo la npi che da sempre ci accompagna in questo difficile percorso. Con lei svolgiamo nuovi accertamenti e l’indagine genetica che ci fa pervenire alla diagnosi definitiva: epilessia mioclonica severa dell’infanzia, Sindrome di Dravet. Non comprendiamo subito la portata di questa cosa, ci illudiamo che crescendo la bimba possa riprendersi, migliorare…Ben presto, capiamo che non sarà così.
La bambina ha altre crisi. Lunghe, terribili. Possono durare a volte pochi minuti, a volte ore. Compaiono anche tantissime mioclonie ad affliggerla durante il giorno e per queste ultime si rende necessaria l’introduzione di un secondo farmaco, il topamax, che però le toglie l’appetito. L’alimentazione disordinata ed insufficiente le porta stitichezza e ciò può invalidare l’efficacia della peretta di micronoan che le viene praticata in caso di convulsioni. I dosaggi dei due farmaci diventano a poco a poco sempre più alti.
Non parla…il suo chiacchiericcio consiste in un lallare confuso infarcito qua e là di qualche parolina di significato compiuto…inizia a tenersi in piedi, in equilibrio precario, verso i diciannove mesi,e pian piano impara a camminare con un andamento lievemente atassico. Cerca l’aiuto dell’adulto quando deve salire e scendere le scale. Non controlla gli sfinteri, non si sa fino a che punto riesca a comprendere le consegne che le vengono date verbalmente. Deve essere aiutata a vestirsi, a lavarsi, a mangiare . 
In queste condizioni la piccola si prepara ad affrontare la frequenza della scuola dell’infanzia, a tre anni. Speriamo che la scuola e i trattamenti di psicomotricità e di logopedia possano aiutarla a progredire. Purtroppo, i malesseri incalzano a più riprese, interferendo in quel processo educativo che dovrebbe condurla all’acquisizione di abitudini corrette e di atteggiamenti utili alla realizzazione e al consolidamento degli apprendimenti . Aumentano le ospedalizzazioni : le infezioni delle vie respiratorie sono continue e destabilizzanti, perché innescano crisi e stati di male che possono andare avanti anche per un’intera giornata, ed è fondamentale prevenirli e gestirli nel modo migliore possibile ( cosa non facile ). 
Nel 2007 si rende necessaria l’introduzione di un terzo farmaco, il Frisium, che non produce i benefici sperati, perché pregiudica l’equilibrio e la stabilità nel camminare e la rende più nervosa e assai meno partecipe durante le terapie e le attività scolastiche. Così, dopo un breve periodo di utilizzo, se ne sospende la somministrazione.
La sua permanenza alla scuola dell’infanzia si protrae per due anni in più per consentirle di maturare seguendo i propri ritmi. Il controllo sfinterico parziale viene raggiunto intorno ai sette anni di età. Impara a parlare un po’ meglio e ad eseguire consegne semplici. Resta molto dipendente dagli adulti e socializza poco con gli altri bambini, non riuscendo a condividere un linguaggio comprensibile e le regole dei giochi .Tuttora lo sviluppo cognitivo, la capacità di esprimersi e l’autonomia personale restano molto limitati. 
In tutti questi anni , abbiamo girato un po’ dovunque, in Italia e all’Estero, per chiedere altri pareri e ricevere un segnale di speranza che potesse sconfessare una diagnosi così infausta. Ad un certo punto però ci siamo fermati. Abbiamo smesso di cercare. Abbiamo cominciato ad apprezzare la preziosità di ogni singolo momento di benessere vissuto e la gioia di viverlo; a provare il terrore di perderlo per il ritorno delle crisi, l’angoscia, il senso di malessere, l’ansia. Ad avere paura, tanta paura. Della febbre, del freddo, del caldo, della luce, dei rumori forti e di ogni possibile fonte di stress… Anche se in questo modo non si vive bene. Si mettono dei paletti a tante cose che vorresti fare e non puoi…Ci si isola, ci si autoesclude da tutto…Se poi ti manca il termine di paragone, il confronto con qualcuno che vive le tue stesse problematiche per un consiglio, un sostegno psicologico, è anche peggio…
Da un po’ di tempo abbiamo trovato una realtà come quella del Gruppo Famiglie Dravet il cui motto è NOI INSIEME PERCHE’ IL DOMANI SIA DEI NOSTRI FIGLI…conoscere altre persone che vivono situazioni analoghe alla nostra ci fa sentire meno soli e ci da uno stimolo a sperare, a non mollare, a costruire qualcosa di positivo collaborando alle loro iniziative. 
La nostra figlioletta è una ragazzina molto affettuosa e socievole ma anche capricciosa e testarda, con un carattere forte, come quello di suo fratello che l’adora e fa di tutto per aiutarla, lotta con noi, non ha smesso di credere alla possibilità di costruire un avvenire migliore per sé stesso e per lei. Ci auguriamo che ciò possa realizzarsi e che la loro vita dopo di noi possa essere meno difficile e complicata.

 LIDIA