Intervista alla dott.ssa Gaia Colasante

Intervista alla dott.ssa Gaia Colasante sull’articolo pubblicato il 10 gennaio 2022 su Nature Communication 
“Scn1a gene reactivation after symptom onset rescues pathological phenotypes in a mouse model of Dravet syndrome”

https://www.nature.com/articles/s41467-021-27837-w

 

Gaia, innanzitutto desideriamo ringraziarti per il lavoro che stai svolgendo, anche insieme a Vania Broccoli, a favore della sindrome di Dravet e congratularci con voi e il vostro team del San Raffaele di Milano per la vostra competenza e determinazione nella ricerca di nuove evidenze e conoscenze che permettano di fare un passo avanti anche nella cura della malattia. Condividiamo l’entusiasmo per il recente articolo pubblicato oggi sulla prestigiosa rivista Nature Communication. Perché ritieni che questo lavoro, sia particolarmente importante per la cura della sindrome di Dravet, pur trattandosi di ricerca di base?

Grazie a voi Simona, per la fiducia che riponete in noi! L’articolo di cui parli è stato pubblicato proprio oggi, 10 gennaio, ed ha come titolo: “La riattivazione del gene Scn1a dopo la comparsa dei sintomi recupera i fenotipi patologici in un modello della Sindrome di Dravet”. In questo lavoro riportiamo i dati di esperimenti finalizzati a rispondere alla domanda se la Sindrome di Dravet è una malattia reversibile, e dunque curabile, dopo la comparsa dei sintomi. Si tratta di una questione che fin’ora non era mai stata affrontata, tuttavia molto importante, soprattutto alla luce delle diverse terapie geniche in via di sviluppo o validazione La risposta a questa domanda è significativa, sia per l’impostazione della sperimentazione clinica di nuove terapie geniche sulla malattia, sia per poterne valutare ed interpretare i risultati.

Che tipo di modello animale avete usato per effettuare gli esperimenti? In generale nell’ambito della ricerca scientifica abbiamo imparato che è importante utilizzare un modello adeguato al fine di convalidare i risultati ottenuti.

Si, è proprio così. Quanto più il modello ricapitola la malattia dei pazienti in questo caso, tanto più le conclusioni che si ottengono si possono estendere ai pazienti stessi. Per questo motivo, prima di essere utilizzati, i modelli animali devono essere validati, in modo da verificare la loro capacità di rappresentare la malattia.

Per poter realizzare i nostri esperimenti e rispondere al quesito che ci siamo posti in questo progetto, abbiamo utilizzato un nuovo modello murino della Sindrome di Dravet che è stato creato ad hoc nel nostro laboratorio. Questo nuovo topo presenta un segnale di STOP all’interno di una delle due copie del gene Scn1a, che mima una classica mutazione troncante, con conseguente dimezzamento dei livelli fisiologici di proteina Nav1.1. In questo modo abbiamo ottenuto un modello di animale affetto dalla sindrome di Dravet (topo “Dravet”) che abbiamo utilizzato anche come modello di controllo, ovvero come termine di paragone rispetto ai vari “trattamenti”. Grazie alla strategia genetica con cui questo animale è stato ideato, questo segnale di STOP puo’ essere rimosso da una proteina chiamata Cre ricombinasi, ripristinando quindi i normali livelli della proteina Nav1.1 in qualunque momento della vita dell’animale e simulando pertanto l’applicazione di una terapia genica. 

Per avere una convalida dei risultati raggiunti con il ripristino della proteina Nav1.1, abbiamo paragonato gli aspetti fenotipici (epilessia e caratteristiche comportamentali) dei topi controllo (topi “Dravet”) con quelli dei topi trattati con il ripristino delle funzionalità del gene SCN1A, mediante la rimozione del segnale di STOP.

Quando lavorate con modelli animali rispettate normative che tutelino anche gli animali impiegati?

Certamente. Innanzitutto, per ogni esperimento che prevede l’utilizzo di modelli animali, viene richiesta l’autorizzazione al Ministero della Salute e tale autorizzazione viene rilasciata solo se gli esperimenti hanno una certa rilevanza. Inoltre, tutte le procedure sono eseguite seguendo protocolli approvati e che tutelano il benessere animale.  

Tornando al progetto di ricerca, che tipo di esperimenti avete realizzato? 

Abbiamo innanzitutto riattivato il gene Scn1a pochi giorni dopo la nascita in un gruppo di animali con la sindrome di Dravet, prima della comparsa dei sintomi della malattia. Per riattivare la copia del gene, che presentava il segnale di STOP, abbiamo veicolato nel cervello la sequenza codificante la proteina Cre tramite un vettore virale adeno-associato (AAV), particolarmente efficace nel portare geni terapeutici nel sistema nervoso centrale. 

Paragonando poi il gruppo degli animali di controllo (topi “Dravet” non trattati) con quelli trattati come ho descritto sopra, abbiamo constatato che il gruppo di controllo si comportava come normalmente fanno i topi con sindrome di Dravet, e cioè manifestavano i primi sintomi intorno alla terza settimana di vita, quando compaiono le prime crisi tonico-cloniche e cominciano a morire per morte improvvisa in epilessia (SUDEP). Invece, i topi trattati, nei quali Scn1a è stato riattivato, non morivano più per SUDEP intorno alla terza settimana di vita e quando si innalzava la loro temperatura corporea per mimare le crisi febbrili, non presentavano crisi tonico-cloniche. Questi dati indicano un primo importante risultato: il trattamento precoce (prima della comparsa dei sintomi) impedisce che compaiano le manifestazioni fenotipiche caratteristiche della sindrome di Dravet.

 Cosa succede invece, nei modelli animali, se il gene SCN1A viene corretto dopo l’insorgenza dei primi sintomi della malattia?

Questa è la domanda più importante a cui abbiamo cercato di dare una risposta. Cosa accade se ripristiniamo i livelli fisiologici di Nav1.1 dopo la comparsa dei sintomi, ovvero dopo la terza settimana di vita? Per rispondere a questa domanda, abbiamo riattivato il gene Scn1a a 30 giorni di vita dei topolini, che corrisponde a circa 3-4 anni di età nei bambini. Dopo aver iniettato il virus Cre o il virus di controllo (una sorta di placebo, che non produceva alcun effetto), abbiamo analizzato i due gruppi di animali sia per il fenotipo epilettico che per le alterazioni comportamentali tipiche dei modelli Dravet.

Mentre gli animali Dravet non trattati continuavano a morire sporadicamente per SUDEP anche dopo la terza settimana di vita, la riattivazione di Nav1.1 proteggeva dalla morte per SUDEP il gruppo di animali iniettati con il virus che esprime la proteina Cre.

Per alcuni topolini abbiamo anche  monitorato l’attività elettroencefalografica (EEG) del cervello in continuo per due settimane. Abbiamo così verificato che, mentre gli animali controllo presentavano in media all’incirca una crisi tonico clonica al giorno, nessuno degli animali con il gene Scn1a riattivato presentava crisi spontanee neanche quando venivano sottoposti al protocollo di induzione di crisi febbrili. 

Oltre agli aspetti legati all’epilessia, avete anche valutato altri aspetti caratteristici della malattia? 

Per poter verificare che, effettivamente, il ripristino della funzionalità del gene  potesse riportare il fenotipo Dravet ad un fenotipo normale, abbiamo effettuato una verifica anche sul recupero degli aspetti comportamentali.  Abbiamo quindi sottoposto gli animali, sia il gruppo non trattato che il gruppo trattato, ad una serie di test comportamentali per valutare, appunto, che oltre all’epilessia anche questi aspetti, caratteristici della sindrome di Dravet, fossero corretti dal trattamento. Sulla base di questi esperimenti abbiamo verificato che il modello “Dravet” di controllo (non trattato)  mostra segni di iperattività principalmente in contesti nuovi, ha difficoltà nelle interazioni sociali con animali mai incontrati prima ed infine presenta chiari segni di difetti cognitivi, in particolare di memoria operativa e spaziale. Nel gruppo di animali con Scn1a riattivato, abbiamo osservato invece un recupero quasi completo di tutte queste alterazioni. 

Infine, un’altra importante informazione emersa dall’analisi dei geni espressi nei cervelli di animali “Dravet” (non trattati) è l’evidenza di importanti alterazioni nell’espressione genica (cioè del processo di trasformazione dell’informazione contenuta nel gene in proteine), tra cui un aumento nell’espressione di geni correlati ad uno stato infiammatorio degli astrociti, le cellule che supportano l’attività neuronale. A seguito del trattamento, abbiamo dimostrato che anche queste alterazioni vengono recuperate nei topi in cui Scn1a è stato riattivato.

Finora abbiamo parlato degli effetti positivi del ripristino della funzionalità del gene SCN1A in modelli animali corrispondenti a bambini di 3 / 4 anni. Ci sono ulteriori evidenze che dimostrino la possibilità di un recupero anche su pazienti adulti?

Incoraggiati dai dati ottenuti, abbiamo riattivato il gene Scn1a in topi più anziani, di 3 mesi di età, che corrisponde a circa 20 anni nell’uomo. In questo esperimento, abbiamo osservato per due settimane animali Dravet tramite EEG (Elettroencefalogramma): tutti quelli che hanno presentato almeno una crisi tonico-clonica sono stati randomizzati (suddivisi in modo casuale) in due gruppi e trattati, o con un virus di controllo o con il virus Cre e osservati ancora tramite EEG. Mentre i topi Dravet non trattati (controllo) continuano ad avere crisi epilettiche, in una settimana le crisi scompaiono nei topi in cui Nav1.1 è stato riattivato.

In sintesi, quali sono le evidenze più importanti dello studio? 

Nel complesso, questi dati sono di grande rilevanza perchè indicano che la sindrome di Dravet è una malattia reversibile anche dopo diversi anni dalla comparsa dei sintomi, qualora venga rimossa la causa stessa della malattia, ovvero vengano ripristinati i normali livelli di Nav1.1 tramite la riattivazione del gene SCN1A

È necessario sottolineare che in questo studio viene mimata una terapia genica ideale, proprio perché Scn1a viene riattivato nelle cellule che normalmente lo esprimono ed esattamente ai livelli fisiologici, mentre le terapie geniche in sviluppo difficilmente potranno raggiungere questo livello di precisione. Ad ogni modo, questo studio è una importante prova di principio che permette di guardare agli studi di terapia genica con un cauto ottimismo e aiuterà i diversi laboratori coinvolti nella messa a punto di nuove terapie.

Gaia, innanzitutto desideriamo ringraziarti per il lavoro che stai svolgendo, anche insieme a Vania Broccoli, a favore della sindrome di Dravet e congratularci con voi e il vostro team del San Raffaele di Milano per la vostra competenza e determinazione nella ricerca di nuove evidenze e conoscenze che permettano di fare un passo avanti anche nella cura della malattia. Condividiamo l’entusiasmo per il recente articolo pubblicato oggi sulla prestigiosa rivista Nature Communication. Perché ritieni che questo lavoro, sia particolarmente importante per la cura della sindrome di Dravet, pur trattandosi di ricerca di base?

Grazie a voi Simona, per la fiducia che riponete in noi! L’articolo di cui parli è stato pubblicato proprio oggi, 10 gennaio, ed ha come titolo: “La riattivazione del gene Scn1a dopo la comparsa dei sintomi recupera i fenotipi patologici in un modello della Sindrome di Dravet”. In questo lavoro riportiamo i dati di esperimenti finalizzati a rispondere alla domanda se la Sindrome di Dravet è una malattia reversibile, e dunque curabile, dopo la comparsa dei sintomi. Si tratta di una questione che fin’ora non era mai stata affrontata, tuttavia molto importante, soprattutto alla luce delle diverse terapie geniche in via di sviluppo o validazione La risposta a questa domanda è significativa, sia per l’impostazione della sperimentazione clinica di nuove terapie geniche sulla malattia, sia per poterne valutare ed interpretare i risultati.

Che tipo di modello animale avete usato per effettuare gli esperimenti? In generale nell’ambito della ricerca scientifica abbiamo imparato che è importante utilizzare un modello adeguato al fine di convalidare i risultati ottenuti.

Si, è proprio così. Quanto più il modello ricapitola la malattia dei pazienti in questo caso, tanto più le conclusioni che si ottengono si possono estendere ai pazienti stessi. Per questo motivo, prima di essere utilizzati, i modelli animali devono essere validati, in modo da verificare la loro capacità di rappresentare la malattia.

Per poter realizzare i nostri esperimenti e rispondere al quesito che ci siamo posti in questo progetto, abbiamo utilizzato un nuovo modello murino della Sindrome di Dravet che è stato creato ad hoc nel nostro laboratorio. Questo nuovo topo presenta un segnale di STOP all’interno di una delle due copie del gene Scn1a, che mima una classica mutazione troncante, con conseguente dimezzamento dei livelli fisiologici di proteina Nav1.1. In questo modo abbiamo ottenuto un modello di animale affetto dalla sindrome di Dravet (topo “Dravet”) che abbiamo utilizzato anche come modello di controllo, ovvero come termine di paragone rispetto ai vari “trattamenti”. Grazie alla strategia genetica con cui questo animale è stato ideato, questo segnale di STOP puo’ essere rimosso da una proteina chiamata Cre ricombinasi, ripristinando quindi i normali livelli della proteina Nav1.1 in qualunque momento della vita dell’animale e simulando pertanto l’applicazione di una terapia genica. 

Per avere una convalida dei risultati raggiunti con il ripristino della proteina Nav1.1, abbiamo paragonato gli aspetti fenotipici (epilessia e caratteristiche comportamentali) dei topi controllo (topi “Dravet”) con quelli dei topi trattati con il ripristino delle funzionalità del gene SCN1A, mediante la rimozione del segnale di STOP.

Quando lavorate con modelli animali rispettate normative che tutelino anche gli animali impiegati?

Certamente. Innanzitutto, per ogni esperimento che prevede l’utilizzo di modelli animali, viene richiesta l’autorizzazione al Ministero della Salute e tale autorizzazione viene rilasciata solo se gli esperimenti hanno una certa rilevanza. Inoltre, tutte le procedure sono eseguite seguendo protocolli approvati e che tutelano il benessere animale.  

Tornando al progetto di ricerca, che tipo di esperimenti avete realizzato? 

Abbiamo innanzitutto riattivato il gene Scn1a pochi giorni dopo la nascita in un gruppo di animali con la sindrome di Dravet, prima della comparsa dei sintomi della malattia. Per riattivare la copia del gene, che presentava il segnale di STOP, abbiamo veicolato nel cervello la sequenza codificante la proteina Cre tramite un vettore virale adeno-associato (AAV), particolarmente efficace nel portare geni terapeutici nel sistema nervoso centrale. 

Paragonando poi il gruppo degli animali di controllo (topi “Dravet” non trattati) con quelli trattati come ho descritto sopra, abbiamo constatato che il gruppo di controllo si comportava come normalmente fanno i topi con sindrome di Dravet, e cioè manifestavano i primi sintomi intorno alla terza settimana di vita, quando compaiono le prime crisi tonico-cloniche e cominciano a morire per morte improvvisa in epilessia (SUDEP). Invece, i topi trattati, nei quali Scn1a è stato riattivato, non morivano più per SUDEP intorno alla terza settimana di vita e quando si innalzava la loro temperatura corporea per mimare le crisi febbrili, non presentavano crisi tonico-cloniche. Questi dati indicano un primo importante risultato: il trattamento precoce (prima della comparsa dei sintomi) impedisce che compaiano le manifestazioni fenotipiche caratteristiche della sindrome di Dravet.

 Cosa succede invece, nei modelli animali, se il gene SCN1A viene corretto dopo l’insorgenza dei primi sintomi della malattia?

Questa è la domanda più importante a cui abbiamo cercato di dare una risposta. Cosa accade se ripristiniamo i livelli fisiologici di Nav1.1 dopo la comparsa dei sintomi, ovvero dopo la terza settimana di vita? Per rispondere a questa domanda, abbiamo riattivato il gene Scn1a a 30 giorni di vita dei topolini, che corrisponde a circa 3-4 anni di età nei bambini. Dopo aver iniettato il virus Cre o il virus di controllo (una sorta di placebo, che non produceva alcun effetto), abbiamo analizzato i due gruppi di animali sia per il fenotipo epilettico che per le alterazioni comportamentali tipiche dei modelli Dravet.

Mentre gli animali Dravet non trattati continuavano a morire sporadicamente per SUDEP anche dopo la terza settimana di vita, la riattivazione di Nav1.1 proteggeva dalla morte per SUDEP il gruppo di animali iniettati con il virus che esprime la proteina Cre.

Per alcuni topolini abbiamo anche  monitorato l’attività elettroencefalografica (EEG) del cervello in continuo per due settimane. Abbiamo così verificato che, mentre gli animali controllo presentavano in media all’incirca una crisi tonico clonica al giorno, nessuno degli animali con il gene Scn1a riattivato presentava crisi spontanee neanche quando venivano sottoposti al protocollo di induzione di crisi febbrili. 

Oltre agli aspetti legati all’epilessia, avete anche valutato altri aspetti caratteristici della malattia? 

Per poter verificare che, effettivamente, il ripristino della funzionalità del gene  potesse riportare il fenotipo Dravet ad un fenotipo normale, abbiamo effettuato una verifica anche sul recupero degli aspetti comportamentali.  Abbiamo quindi sottoposto gli animali, sia il gruppo non trattato che il gruppo trattato, ad una serie di test comportamentali per valutare, appunto, che oltre all’epilessia anche questi aspetti, caratteristici della sindrome di Dravet, fossero corretti dal trattamento. Sulla base di questi esperimenti abbiamo verificato che il modello “Dravet” di controllo (non trattato)  mostra segni di iperattività principalmente in contesti nuovi, ha difficoltà nelle interazioni sociali con animali mai incontrati prima ed infine presenta chiari segni di difetti cognitivi, in particolare di memoria operativa e spaziale. Nel gruppo di animali con Scn1a riattivato, abbiamo osservato invece un recupero quasi completo di tutte queste alterazioni. 

Infine, un’altra importante informazione emersa dall’analisi dei geni espressi nei cervelli di animali “Dravet” (non trattati) è l’evidenza di importanti alterazioni nell’espressione genica (cioè del processo di trasformazione dell’informazione contenuta nel gene in proteine), tra cui un aumento nell’espressione di geni correlati ad uno stato infiammatorio degli astrociti, le cellule che supportano l’attività neuronale. A seguito del trattamento, abbiamo dimostrato che anche queste alterazioni vengono recuperate nei topi in cui Scn1a è stato riattivato.

Finora abbiamo parlato degli effetti positivi del ripristino della funzionalità del gene SCN1A in modelli animali corrispondenti a bambini di 3 / 4 anni. Ci sono ulteriori evidenze che dimostrino la possibilità di un recupero anche su pazienti adulti?

Incoraggiati dai dati ottenuti, abbiamo riattivato il gene Scn1a in topi più anziani, di 3 mesi di età, che corrisponde a circa 20 anni nell’uomo. In questo esperimento, abbiamo osservato per due settimane animali Dravet tramite EEG (Elettroencefalogramma): tutti quelli che hanno presentato almeno una crisi tonico-clonica sono stati randomizzati (suddivisi in modo casuale) in due gruppi e trattati, o con un virus di controllo o con il virus Cre e osservati ancora tramite EEG. Mentre i topi Dravet non trattati (controllo) continuano ad avere crisi epilettiche, in una settimana le crisi scompaiono nei topi in cui Nav1.1 è stato riattivato.

In sintesi, quali sono le evidenze più importanti dello studio? 

Nel complesso, questi dati sono di grande rilevanza perchè indicano che la sindrome di Dravet è una malattia reversibile anche dopo diversi anni dalla comparsa dei sintomi, qualora venga rimossa la causa stessa della malattia, ovvero vengano ripristinati i normali livelli di Nav1.1 tramite la riattivazione del gene SCN1A

È necessario sottolineare che in questo studio viene mimata una terapia genica ideale, proprio perché Scn1a viene riattivato nelle cellule che normalmente lo esprimono ed esattamente ai livelli fisiologici, mentre le terapie geniche in sviluppo difficilmente potranno raggiungere questo livello di precisione. Ad ogni modo, questo studio è una importante prova di principio che permette di guardare agli studi di terapia genica con un cauto ottimismo e aiuterà i diversi laboratori coinvolti nella messa a punto di nuove terapie.