Inquadramento generale della sindrome di Dravet

SINDROME DI DRAVET : Epilessia mioclonica severa dell'infanzia
(OMIM 607208; Orphanet ORPHA33069)

 

Definizione

La sindrome di Dravet (SD) è una forma di epilessia, associata a disturbi dello sviluppo neurologico, che insorge nel primo anno di vita nei lattanti senza antecedenti patologici personali, apparentemente normali al momento dell’insorgenza delle crisi. E’ stata descritta per la prima volta nel 1978 da Charlotte Dravet, in Francia, con il nome di «epilessia mioclonica severa del lattante», e ampiamente studiata da numerosi autori in diversi paesi (Italia, Giappone, Spagna, Argentina, USA etc).

 

Epidemiologia

La sua reale frequenza nella popolazione non è ben conosciuta. Nel 1990 è stata stimata da 1/20 000 a 1/40 000 nati in USA (Hurst, 1990). Autori francesi hanno trovato 1/40 000 o 1/ 30 000 in Francia (Yakoub et al, 1992). Nell’ambito delle epilessie ad esordio precoce, la SD rappresenta 3% delle epilessie esordite nel primo anno in Argentina (Caraballo et al, 1998), 6,1% di quelle esordite nei tre primi anni in Francia (Dravet et al, 1992), uguali ai 7% calcolati in Italia ( Dalla Bernardina et al, 1983). Lo studio più recente, in Spagna, riferisce SD in 1,4% dei pazienti affetti da epilessia tra 1 mese e 15 anni (Durà-Travé et al, 2007). La sua prevalenza in USA è stata stimata  tra 2 000 e 8 000 casi per l’anno 2008, in ogni caso inferiore a 10 000 (dati non pubblicati). Quindi , nonostante una migliore conoscenza della malattia durante l’ultima decade,  la  SD rimane rara.  Ha il numero ORPHA 33069 nell’attuale classificazione delle malattie rare. Tuttavia non è conosciuta la sua reale prevalenza.

 

Descrizione

La sua sintomatologia è relativamente stereotipata, ma può variare da un paziente all’altro. Oltre alla forma descritta inizialmente, esistono delle forme dette “di confine” (“borderline” per gli anglosassoni) nelle quale mancano alcuni sintomi, in particolare le crisi miocloniche. La sua evoluzione si svolge in 3 stadi. 

a) Stadio febbrile o diagnostico, nel primo anno.

Nella maggior parte dei casi, le prime crisi sono scatenate dalla febbre. Sono crisi convulsive (cloniche o tonico-cloniche), generalizzate o unilaterali, interessanti principalmente una metà del corpo, variabile da una crisi all’altra (crisi emicloniche alternanti). Spesso sono lunghe  o molto lunghe (fino a più di un’ora) e necessitano  un trattamento d’urgenza (somministrazione rettale o in vena di un anticonvulsivante). Nelle settimane e mesi successivi le crisi divengono più frequenti, insorgono anche senza febbre o con una febbre moderata (tra 37° e 38°) e possono raggrupparsi in stati di male epilettici. Si deve sottolineare che le vaccinazioni possono essere un fattore scatenante in alcuni pazienti. 

b) Stadio di peggioramento.

Nei primi 2 o 3 anni di vita compaiono altri tipi di crisi: crisi miocloniche (eccetto nelle forme di confine), assenze atipiche, crisi focali. Esse possono essere provocate dalla febbre o da fattori ambientali: luminosità eccessiva o intermittente, patterns (motivi geometrici regolari, linee, scintillii etc.), sforzo fisico, eccitazione, emozione. Un fenomeno di autostimolazione può peggiorare la situazione. Simultaneamente, compaiono ritardo dello sviluppo psicomotorio e disturbi del comportamento, più o meno importanti a seconda dei bambini. Si tratta inizialmente di un lieve ritardo motorio o del linguaggio ed in seguito di un ritardo più globale. Il bambino è spesso instabile, «iperattivo», e oppositivo, testardo, ostinato. I disturbi motori si manifestano come atassia, deambulazione scoordinata, imprecisione dei gesti fini, tremori alle estremità. I disturbi del linguaggio inducono difficoltà di comunicazione che rendono difficile la sua socializzazione. Si possono manifestare, inoltre,  dei disturbi del sonno e problemi ortopedici (cifoscoliosi, piedi piatti). 

c) Stadio di stabilizzazione.

Durante la seconda infanzia (a partire dai 4/5 anni) e l’adolescenza la situazione generalmente migliora, con diminuzione, qualche volta  scomparsa, delle crisi focali, delle assenze atipiche e delle crisi miocloniche, ma le crisi convulsive persistono. Esse spesso hanno tendenza a presentarsi all’inizio o alla fine della notte. Possono raggrupparsi  in serie in alcuni periodi, ma gli stati di male sono più rari. Le crisi sono sempre sensibili alla febbre, che succede molto più raramente. Si stabilizzano anche i disturbi psicologici. Le acquisizioni continuano lentamente, o riprendono qualora vi fossero stati momenti di regressione. L’instabilità si attenua e viene progressivamente sostituita da una grande lentezza  con perseverazioni. Spesso persistono le difficoltà nella comunicazione e si possono osservare  dei tratti autistici. Il livello del linguaggio corrisponde al livello intellettuale globale, la comprensione appare migliore rispetto all’espressione. Raramente si può osservare una certa tendenza all’aggressività ed un’evoluzione psicotica. Il deficit cognitivo permanente è variabile, da moderato a severo, in base a quella che è stata l’evoluzione nei primi tre o quattro anni che non è identica in tutti pazienti. I fattori in gioco per spiegare questa variabilità non sono conosciuti e studi neuropsicologici sono stati eseguiti o sono in corso in Italia (Ragona et al, 2010, Ragona et al, 2011, in press, Chieffo et al, 2011).  

Età adulta

La maggior parte dei pazienti si presentano con un handicap globale, motorio e cognitivo che impedisce loro una vita indipendente.  L’epilessia rimane attiva, con crisi tonico-cloniche secondariamente generalizzate, di frequenza variabile, gli altri tipi non essendo presenti in tutti i pazienti. I disturbi motori e cognitivi sono quelli descritti sopra. In alcuni pazienti la deambulazione è compromessa dalla sintomatologia ortopedica e puo necessitare l’uso di una poltrone a rotelle (Jansen et al, 2006, Dravet et al, 2009, Akiyama et al, 2010). Esiste un rischio di decesso precoce, legato ad infezioni respiratorie, incidenti (annegamento), stati di male ed a “morte improvvisa inspiegata”(SUDEP). Dravet et al (1992) hanno stimato a 15% la proporzione di morte  riferita in letteratura. Uno studio più recente (Sakauchi et al, 2011, in press) la stima a 10% in una seria giapponese di 623 pazienti, causata sia dalla SUDEP (31 pazienti) sia da stati di male (21 pazienti). 

 

Esami complementari

Gli elettroencefalogrammi (EEG) non presentano un aspetto specifico di valore diagnostico come si rileva in altre sindromi (sindrome di West, sindrome di Lennox-Gastaut). All’inizio sono generalmente privi di anomalie. Più tardi appaiono anomalie parossistiche generalizzate e multifocali, variabili da un paziente all’altro. Una risposta patologica alla stimolazione luminosa intermittente si osserva in circa 30-40 % dei pazienti. La neuroimaging non fornisce un contributo utile. Tac e IRM (RMN) sono normali nella maggior parte dei casi. Possono dimostrare discrete anomalie senza significato eziologico. Un lavoro recente (Striano et al, 2007) ha rilevato nel 22,4% di un campione di 58 pazienti: lieve atrofia corticale o cerebellare, allargamento ventricolare, iperintensità della sostanza bianca. Solo un paziente presentava una sclerosi ippocampale e un altro una zona di displasia corticale. Gli esami biologici permettono di escludere un epilessia mioclonia progressiva, in particolare la lipofuscinosi ceroide, nel secondo anno di vita.

 

Trattamento

La SD è una epilessia farmacoresistente e pochi farmaci sono realmente efficaci. Quelli più prescritti sono valproate, clobazam, clonazepam, topiramato; essi permettono solo un parziale e transitorio controllo delle crisi. Tra le molecole più recenti, poche sono efficaci. Una sola molecola, lo stiripentol, prodotta dal laboratorio francese Biocodex, è stata oggetto di un trial controllato, a doppio cieco, che ha dimostrato la sua efficacia sulla riduzione delle crisi prolungate e stati di male, in associazione con valproate e clobazam (Chiron et al, 2000,  Guerrini et al, 2002). Al contrario, altri farmaci devono essere evitati per rischio di aggravamento delle crisi, particolarmente carbamazepine e lamotrigine. In caso d’insuccesso dei farmaci, la dieta chetogenica appare come una opzione valida. Di fronte ad una crisi convulsiva, per evitare che si prolunghi e subentri uno stato di male, il diazepam per via rettale è ancora il farmaco più efficace e il più  facile da somministrare dai genitori e altri “care-giver”. Ad oggi esiste, una molecola disponibile anche fuori degli ospedali, il midazolam, che può essere somministrata più facilmente per via orale (BUCCOLAM). La sua efficacia è stata dimostrata in altri paesi. Solo recentemente ha ottenuto anche in italia l'autorizzazione all'immissione in commercio. 

 

Genetica

Nel 2001, Claes et al, hanno dimostrato l’origine genetica della  SD legata all’esistenza di una mutazione del gene codante per la sotto-unità alpha1 del canale del sodio ( SCN1A). Da questo momento, numerosi studi hanno confermato questo dato per la forma tipica e per le forme di confine. Attualmente, il numero di mutazioni scoperte in patients affetti da  SD sorpassa 500 (Marini et al, 2011 in press).§  Tuttavia, se circa 70% dei pazienti testati sono portatori di una di queste mutazioni, ne rimangono 30% non portatori. Tra questi ultimi, un piccolo numero (10-12%) sono portatori di una microdelezione o riarrangiamento cromosomico non svelabili che interessa SCN1A e geni contigui. Tale anomalie possono essere identificate con multiplex ligation-dependent probe amplification (MLPA) (Marini et al, 2011, in press). §  Recentemente, un altro gene è stato implicato nella SD , il gene PCDH 19. Mutazioni nella protocadherin 19 sono state evidenziate in 13 femmine con un quadro clinico similare a quello della SD (Depienne et al, 2009). Un soggetto di sesso maschile con lo stesso fenotipo era portatore di una mutazeion mosaïc. Gli autori considerano che mutazioni in questo gene potrebbero essere presenti nel  5% di tutti i pazienti con SD. La SD è classificata con il numero MIM ID #607208.

 

Le problematiche principali

a) La severità e la farmacoresistenza delle crisi nella SD sono il primo problema dei medici e delle famiglie. Questi bambini sono permanentemente a rischio di andare incontro a stati di male con le relative conseguenze a breve e lungo termine sullo sviluppo, e a rischio di morte improvvisa. Si dovrebbero cercare farmaci più efficaci e adatti ad evitare questi gravi pericoli.

b) La predisposizione ad infezioni ripetute e le variazioni rapide della temperature corporea conducono i genitori e care-giver ad esercitare una iperprotezione dei pazienti ed a somministrare troppo spesso medicine antipiretiche.

c) Il rischio di SUDEP contro il quale, attualmente, non ci sono possibilità di prevenzione, aumenta notevolmente l’angoscia dei genitori che possono solamente esercitare una stretta sorveglianza dei bambini durante il sonno. Ricerche sono in atto sulla SUDEP (cardiologiche, respiratorie, genetiche) che minaccia tutte le persone con epilessia  ma occorrerebbe che venissero intensificate. In particolare si dovrebbe stabilire se potrebbe essere utile esercitare una sorveglianza cardiologica con ECG e ECG Holter.

d) Altro importante fattore di ansia è costituito dal rischio di deficit cognitivo e dai disturbi del comportamento e della personalità. Le relative conseguenze sulla qualità di vita dei pazienti e la loro capacità/possibilità di socializzazione, sono enormi senza contare inoltre,  il costo elevato che rappresenta per la sociètà. Il trattamento farmacologico deve essere associato a una presa in carico globale dei pazienti, con valutazioni psicologiche e neuropsicologiche, aiuti pedagogici, logopedici, psicomotori, fisioterapici, e un sostegno psicologico ai genitori, fratelli e sorelle. Tuttavia i fattori che condizionano l’evoluzione cognitiva non sono ben conosciuti. I ruoli rispettivi dell’epilessia, dei farmaci, e delle anomalie genetiche non sono stati ancora chiariti. Gli studi in corso devono essere prolungati e completati (Ragona et al, 2010, Ragona et al, 2011, in press, Chieffo et al, 2011).

e) L’origine dei disturbi ortopedici, che possono compromettere gravemente la deambulazione e l’autonomia motoria dei pazienti, non è ancora chiara  e dovrebbe essere studiata specificamente in collaborazione tra specialisti in neurologia, in ortopedia, in fisioterapia.

 f) Il possibile ruolo delle vaccinazioni nella comparsa delle prime crisi induce alcuni genitori ad opporsi alla somministrazione di ulteriori vaccinazioni. Questa problematica è stata chiarita dagli autori australiani che hanno dimostrato che le vaccinazioni non erano responsabili della malattia (Berkovic et al, 2006).

g) La maggior parte di queste questioni fa parte della più ampia questione avente ad oggetto le relazioni fenotipo/genotipo, non ancora individuate nonostante le ricerche cliniche e sperimentali sulle funzioni e il  ruolo delle mutazioni.